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Congo, Repùbblica Demòcratica del.

(fino al 1997 Zaire). Stato (2.344.858 kmq; 56.674.000 ab.) dell'Africa centrale. Confina a Nord con la Repubblica Centrafricana, a Nord-Est col Sudan, a Est con l'Uganda, il Ruanda, il Burundi e la Tanzania, a Sud-Est con lo Zambia e l'Angola, a Ovest con il Congo (Repubblica del) e, per un breve tratto, con l'Oceano Atlantico. Capitale: Kinshasa. Città principali: Kananga, Kisangani, Lubumbashi, Bukavu. Già Congo Belga e poi Repubblica dello Zaire, è una Repubblica presidenziale, il cui presidente, che è anche capo del Governo, concentra in sé tutti i poteri, compreso quello legislativo. Il territorio è diviso in 10 regioni più il distretto della capitale. Moneta: franco congolese. Lingua: francese (ufficiale); sono in uso anche lingue bantu e dialetti sudanesi. Religione: cristiana (73%) e musulmana. Popolazione: formata da numerosi gruppi etnici, essenzialmente Bantu o Sudanesi, tra cui si distinguono i Luba, Kongo, Mongo e Ruanda.

GEOGRAFIA

Morfologia: la R.D. del C.. è compresa quasi interamente nel bacino del fiume Congo ed è formato da una depressione circondata da rilievi, caratterizzata da terrazze occupate da paludi e da bacini lacustri o fluviali. Tra i rilievi, i più significativi si pongono lungo il margine orientale, dove i rilievi vulcanici, collocati sulla Rift Valley, raggiungono i 4.000-5.000 m di quota (Monte Ruvenzori, Mitumba, ecc.). Altri rilievi di più modeste dimensioni si innalzano fra i corsi dello Zaire e dell'Ubanghi, nel Nord del Paese, e, nell'estremità meridionale, fra i corsi del Luapula-Luvua e del Lualaba, nel Kasai e nello Shaba occidentale. ║ Clima: la posizione e l'omogeneità del territorio rendono il clima direttamente dipendente dalla distanza dalla linea equinoziale e dall'altimetria. Esso risulta quindi di tipo equatoriale con temperature medie elevate ed escursioni annue ridotte; abbondanti le precipitazioni con un'umidità che raggiunge tassi dell'80% circa.
Cartina della Repubblica Democratica del Congo


ECONOMIA

Sviluppata è la produzione, nelle zone della savana, di miglio, mais, manioca, riso, frumento e piante leguminose. Tra le colture commerciali più importanti ricordiamo canna da zucchero, caffè, tè, cotone, cacao, palme da olio, banane e agrumi. Dalle foreste che coprono buona parte del territorio nazionale provengono legnami preziosi (kambala, limbali, acajou); l'allevamento è praticato soprattutto nella zona meridionale del Paese. Rilevanti sono le riserve minerarie: giacimenti di rame, cobalto, tungsteno, zinco e uranio situati nella provincia dello Shaba, di oro, stagno e argento, cui si aggiungono le ricche riserve di diamanti nell'alto Kasai. Gli impianti industriali legati all'attività mineraria sono concentrati nella zona di Kinshasa e nello Shaba. La crisi economica determinatasi verso la metà degli anni Settanta nel Paese, a cui non fu estraneo il calo di produttività nel settore agricolo, costrinse la R.D. del C. a ricorrere agli aiuti delle Nazioni straniere occidentali, interessate a salvaguardare i propri interessi. Sono andate progressivamente aumentando anche le importazioni dall'estero, soprattutto di prodotti alimentari e beni di consumo. Una tappa decisiva sulla strada dell'industrializzazione della R.D. del C. fu compiuta con l'ultimazione nel 1980 dei primi due tronchi della gigantesca diga di Inga che consente di sfruttare la grande riserva di energia del fiume Congo, e, conseguentemente, una migliore utilizzazione delle enormi ricchezze potenziali del territorio.

STORIA

Originariamente la popolazione era costituita in prevalenza da Pigmei. L'antico Regno del Congo prese nome (XV sec.) da uno dei primi sovrani, Kongo (“cacciatore”) della regione. Nel 1483 i Portoghesi, cui spetta la scoperta in questi anni dell'estuario del fiume Congo, iniziarono a evangelizzare le popolazioni e, dalla fine del XVI sec. si impegnarono nella tratta degli schiavi da avviare alle piantagioni del Brasile. Tra il 1876 e il 1877 l'esploratore inglese H.M. Stanley risalì il corso del fiume, esplorando le regioni che ne formavano l'ampio bacino. Dopo una breve e vana resistenza, l'antico reame del Mani Kongo venne distrutto; i suoi confini coincidevano solo in minima parte con quelli dell'antico Regno del Congo che, all'epoca del massimo splendore (XVI sec.), si estendeva dall'Atlantico sino al fiume Kuango. La costituzione in possedimento belga della R.D. del C. avvenne in seguito a una successiva spedizione guidata da Stanley, sotto l'egida di Leopoldo II (1879). Posto sotto il controllo dell'Associazione internazionale per il Congo (1880), il territorio fu istituito in Stato indipendente del Congo e affidato a re Leopoldo II come possedimento personale (1885). Il nuovo Stato del Congo riunì in un'unica entità politico-amministrativa popolazioni tra loro assai diverse per razza e tradizioni: Sudanesi (Nord), Pigmei (zone forestali), Bantu (Centro-Sud), questi ultimi a loro volta suddivisi in vari gruppi (ba Kongo, ba Teke, ba Luba, ba Kuba, ba Mongo, ecc.). Questa entità statale, creata dal colonialismo, risentì di tale origine fittizia anche dopo che il possedimento fu trasferito nel 1908 al Belgio, assumendo la denominazione di colonia. Negli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale ebbe inizio lo sfruttamento su vasta scala delle ricche riserve minerarie della regione che non comportò tuttavia alcun sensibile miglioramento delle condizioni di vita degli indigeni. L'integrazione territoriale, già resa difficile dall'estremo frazionamento etnico-tribale, fu compromessa dalla creazione di due centri di potere, uno burocratico amministrativo (Léopoldville), l'altro economico (Elisabethville) sede operativa dell'antica Union Minière e di altri grandi società operanti nella regione mineraria del Katanga. A questa divisione, corrispose una situazione coloniale contraddistinta da una scissione tra sviluppo ed emancipazione politica che procedette con estrema lentezza. La gestione coloniale belga fu contraddistinta infatti dal paternalismo e dalla mancata formazione di quadri politici e culturali indigeni. Questa situazione rimase pressoché immutata sino alla soglia degli anni Sessanta. Infatti, anche quando altri Paesi africani furono coinvolti nelle lotte per l'autonomia nazionale, nel Congo, i temi del nazionalismo africano non trovarono inizialmente un terreno favorevole. Solo nella seconda metà degli anni Cinquanta, la situazione cominciò a muoversi, tanto da indurre le autorità coloniali belghe ad accelerare il processo verso l'indipendenza. Venne stabilito un programma che avrebbe dovuto rendere indolore il passaggio all'autogoverno. L'indipendenza, infatti, avrebbe dovuto risultare un atto puramente formale e lasciare inalterati i rapporti di forza economica e il controllo delle fonti di ricchezza del Paese. Tale programma fu compromesso dalla comparsa sulla scena politica congolese del leader nazionalista Patrice Lumumba, fattosi interprete di una concezione rivoluzionaria, in netta antitesi con la politica di compromesso perseguita da Bruxelles. Data l'impreparazione politica, l'estremo frazionamento regionale, i legami tribali dei vari partiti e le spinte centrifughe, a distanza di pochi giorni dall'indipendenza, proclamata il 1° gennaio 1960, con Lumumba a capo del Governo e Kasavubu alla presidenza della Repubblica, il caos travolse il Congo. Gruppi etnici, partiti e tribù si affrontarono in scontri sanguinosi che pregiudicarono l'esistenza del nuovo Stato e che indussero l'Union Minière a giocare la carta della secessione del Katanga (Shaba), proclamatosi indipendente il 12 luglio, sotto la presidenza di M. Ciombe; anche la regione mineraria del Kasai si dichiarava Stato indipendente. In un clima di estrema confusione, Kasavubu e Lumumba si deponevano a vicenda. Non tenendo conto del voto del Parlamento (13 settembre 1960) favorevole a Lumumba, Kasavubu formò un contro Governo e con l'appoggio del generale Mobutu fece imprigionare Lumumba, consegnandolo poi al katanghese Ciombe (17 gennaio 1961). Dopo molte traversie, la linea nazionalista finì tuttavia con l'imporsi e i piani neocoloniali del Belgio furono in parte annullati dagli eventi successivi. Infatti, superata la prima fase critica con il rientro della secessione del Katanga nel gennaio 1963, la situazione rimase quanto mai precaria. Il Governo Adoula appariva minato alle fondamenta dalla rivolta armata di ispirazione lumumbista iniziata nel gennaio 1964 nella provincia di Kwilu, sotto la guida di P. Mulele. Appoggiati da vari Governi progressisti africani, i guerriglieri conseguirono notevoli successi, ottenendo gradualmente il controllo di tutta la regione nord-orientale, sino alla conquista dell'importante centro di Stanleyville (attuale Kisangani), e alla proclamazione della Repubblica Popolare Congolese (settembre 1964). Lo sbarco di paracadutisti belgi (24 novembre 1964) diede un colpo decisivo alle forze rivoluzionarie che si dispersero consentendo a Ciombe, divenuto capo del Governo nel luglio precedente, di assumere il controllo dell'intero Paese. La controrivoluzione di Ciombe fu neutralizzata dal colpo di Stato del 24 novembre 1965 capeggiato dal generale J.D. Mobutu. Proclamatosi presidente della Repubblica, Mobutu, pur cercando di ridurre all'impotenza le correnti di sinistra, ritenne opportuno riabilitare la memoria di Lumumba, facendone un eroe nazionale. Egli tuttavia perseguì una politica di unità nazionale e di avvicinamento agli Stati africani progressisti. La liquidazione nel dicembre 1966 dell'Union Minière, cui subentrarono le due società nazionali Gecamines e Società zaïraise de Commercialisation des minerais, e l'enunciazione di alcuni obiettivi già perseguiti dai partiti rivoluzionari di ispirazione lumumbista, indussero ancora le forze economiche più reazionarie a ricorrere all'azione dei mercenari bianchi. Nella realizzazione politica dei programmi annunciati non mancarono tuttavia contraddizioni e azioni trasformistiche da parte di Mobutu che nel giugno 1967 aveva fatto approvare una nuova Costituzione di tipo presidenziale. Egli non mancò di legarsi strettamente agli interessi economici neocoloniali, rappresentati soprattutto da grandi compagnie belghe e statunitensi. Inoltre, continuò l'eliminazione degli avversari, tra cui il leader lumumbista P. Mulele, assassinato nell'ottobre 1968, dopo che gli era stato garantito il rimpatrio. Azioni come questa e come la sanguinosa repressione di ogni protesta studentesca, non impedirono tuttavia a Mobutu, rieletto alla presidenza nel settembre 1970 con un mandato settennale, di perseverare in una linea politica trasformistica e mistificatoria, formalmente ispirata al nazionalismo panafricano, proponendosi come nuovo leader dell'Africa nera, erede di capi storici come Lumumba e Nkrumah. Abbandonato il nome di battesimo di Joseph-Désiré per assumere quello indigeno di Sese Seko (“onnipotente guerriero”), nell'ottobre del 1971 Mobutu diede avvio al processo di “zairizzazione” del Paese, proclamando la Repubblica Democratica dello Zaire. Nel maggio 1972 convocò il primo congresso del Movimento popolare della rivoluzione, per dare una base ideologica alla politica nazionalista del regime, e nel gennaio 1973, al ritorno da una visita ufficiale a Pechino, dichiarò di volersi ispirare al modello di sviluppo collettivistico cinese. Al di là delle misure di “zairizzazione” decretate nell'autunno 1973 e della retorica rivoluzionaria, accentuatasi dopo la seconda visita di Mobutu in Cina alla fine del 1974, la R.D. del C. rimaneva un Paese considerato il “bastione moderato” dell'Africa nera, retto da una classe dirigente interessata soprattutto ad arricchire se stessa. La screditata “rivoluzione” zairese ricevette un duro colpo dalla fine del colonialismo portoghese in Africa. Col sostegno dei suoi protettori, Mobutu si impegnò ad appoggiare massicciamente il Fronte nazionale angolano (FNLA), diretto da suo cognato Holden Roberto, contro l'MPLA di A. Neto. Perduta la partita angolana, e con essa la possibilità di estendere il proprio controllo sull'ex colonia portoghese, il discusso leader africano cercò di accordarsi con Neto in un incontro avvenuto nel febbraio 1976, promettendo il proprio disimpegno in Angola. Per quanto già apparsa in varie occasioni in pericolo, la posizione di Mobutu divenne ancor più vacillante in conseguenza della disastrosa condizione economica del Paese (svalutazione del 42% dello zaire, la moneta di allora, decretata nel 1977), attribuita alla caduta del prezzo del rame (due terzi del valore delle esportazioni) ma dovuta soprattutto alle scelte di politica economica, incentrate essenzialmente sull'attività estrattiva (manganese, cobalto, uranio, zinco, stagno, diamanti). Una gravissima crisi di portata internazionale si aprì nel marzo 1977, con l'invasione della provincia mineraria dello Shaba (ex Katanga) da parte degli ex gendarmi di Tschombè, rifugiatisi in Angola e unitisi all'MPLA di Neto (dopo aver combattuto per dieci anni contro di esso al servizio del Portogallo). Le azioni dei Katanghesi, costituitisi in Fronte nazionale di liberazione del Congo (FNLC), sotto la leadership di N. Mbumba, dettero nuovo impulso e più vasto respiro anche alla guerriglia da tempo in atto nel Nord-Est e condotta in nome degli ideali di Lumumba e Mulele. Le elezioni indette nel 1977 fecero registrare la netta vittoria dei rappresentanti del MPR. In seguito alle modificazioni introdotte nella Costituzione del 1974 fu accettata la rielezione a tempo indeterminato del presidente della Repubblica Mobutu che, candidato unico, venne riconfermato alla presidenza per un nuovo settennato. Nel maggio 1978, gruppi katanghesi, con l'appoggio di mercenari europei, occuparono il centro minerario di Kolwezi, nello Shaba, ma la città venne liberata grazie all'intervento di paracadutisti francesi giunti in aiuto dell'esercito zairese. Successivamente alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra la R.D. del C. e l'Angola, Mobutu stipulò un accordo con il presidente angolano allo scopo di costituire una commissione comune di controllo per la sicurezza delle frontiere. Nel marzo 1979 B. Lokonga venne nominato primo ministro in sostituzione di M. Kasenda che assunse la carica di segretario del MPR. Nzuga Karl-Ipond, condannato a morte nel 1977 e successivamente graziato e rimesso in libertà, passò al ministero degli Esteri, e nell'agosto 1980 divenne primo ministro. Negli anni Ottanta la protesta studentesca diede vita a frequenti e gravi disordini, in seguito ai quali il Governo fu costretto a decretare la chiusura delle università e di altri istituti di istruzione superiore. Nel 1982 venne eletto primo ministro Kengo Wa Dongo e venne sottoscritto tra Cina e R.D. del C. un patto di collaborazione militare. A partire dalla fine del 1983 si evidenziarono i primi segni di un miglioramento della situazione economica. Nel luglio 1984 Mobutu venne rieletto presidente per la durata di altri sette anni. A fine anno, nella regione dello Shaba, formazioni locali di guerriglia, presenti da tempo nella zona, unite a militari ribelli e con il probabile appoggio della Tanzania, occuparono per breve tempo la città di Moba. Seguì una nuova ondata di repressione. Questa ricca zona mineraria della R.D. del C. rimase la principale fonte di instabilità politica per il regime, e per tutto il 1985 i guerriglieri fecero sentire la loro presenza. Dal 1986 si verificarono numerosi rimpasti di Governo che ebbero come scopo principale la concentrazione del controllo politico nelle mani del presidente; inoltre Mobutu fu chiamato a rispondere alle critiche mossegli per la violazione dei diritti umani da parte del Congresso americano, del Parlamento europeo, della Chiesa cattolica e di Amnesty International. Inevitabilmente d'attualità rimase in quegli anni la questione del risanamento finanziario e del progresso economico, per affrontare i quali la R.D. del C. si affidò al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e al Club di Parigi. I rimpasti governativi tra il 1987-88 si susseguirono, come pure la serie di gravi violazioni dei diritti umani avvenuta nel Paese africano. Nel 1988, il Congresso americano e il Parlamento europeo ne domandarono ragione al presidente Mobutu, sollecitando i rispettivi Governi a una revisione della politica di aiuto alla R.D. del C. Nel 1990 Mobutu, dopo aver dichiarato la fine della seconda Repubblica, si rese responsabile di diversi episodi di violenza, suscitando l'immediata reazione dei Paesi occidentali che sospesero i finanziamenti allo Stato, travolto da una crisi economica senza precedenti. Nel 1991 una rivolta dei militari sfociò in violentissimi scontri che determinarono l'intervento di truppe straniere; nel 1993 Mobutu nominò un nuovo Governo, accettando successivamente una limitazione dei poteri presidenziali a favore di quelli del primo ministro (aprile 1994). Lo stesso presidente acconsentì ad accogliere nei territori dello Stato i profughi Hutu ruandesi fuggiti dopo gli scontri del 1994. Nell'ottobre del 1996 nella provincia del Kivu i Tutsi zairesi si ribellarono scatenando una sanguinosa guerriglia che determinò il declino di Mobutu, esiliato nel maggio del 1997, e l'ascesa al potere di L. Kabila, proclamatosi presidente dello Stato che mutò il nome in Repubblica Democratica del Congo. Nel 1998 Kabila permise l'ingresso degli ispettori ONU per indagare sulle atrocità perpetuate nel Paese. Nel 1999 scoppiò una nuova guerra civile tra il Governo, sostenuto da Angola, Namibia e Zimbabwe, e un ampio movimento di guerriglia sostenuto da Ruanda, Burundi e Uganda. Gran parte del Nord-Est del Paese fu occupato dai ribelli della Coalizione democratica congolese (RCD), formata dai miliziani tutsi banyamulenge e dai nostalgici del regime di Mobutu del Movimento di liberazione congolese (MLC), mentre nel centro-Sud le truppe straniere di Angola, Namibia e Zimbabwe, che sostenevano il presidente Kabila, si occupavano del governo delle vaste aree occupate militarmente. Un nuovo accordo per il cessate il fuoco venne siglato a metà anno; il presidente Kabila incontrò in Kenya il presidente ruandese Paul Kagame. Nonostante venisse firmata una nuova tregua nel 2000, la guerriglia continuò per tutto il 2001. Nel gennaio 2001 il presidente Kabila venne ucciso da una guardia del corpo, probabilmente su mandato ugandese e ruandese, e venne sostituito dal figlio Joseph. Il neopresidente a febbraio si recò in visita ufficiale a Washington e poi a New York, al Consiglio di sicurezza dell'ONU, con l'obiettivo di rilanciare il processo di pace e assicurarsi in tal modo il dispiegamento dei Caschi blu ostacolato fino ad allora dal padre. Nel gennaio 2002 un'eruzione vulcanica distrusse la città di Goma. Nello stesso mese le truppe ugandesi rinforzarono la loro presenza nel Nord-Est del Paese in seguito a scontri etnici in cui persero la vita centinaia di persone. Nel successivo mese di aprile iniziarono in Sudafrica intense trattative per porre fine ad anni di guerra civile. Vennero firmati alcuni trattati, puntualmente rifiutati da alcune delle parti, finché, nel mese di dicembre, il Governo di Kinshasa, le maggiori organizzazioni ribelli e le opposizioni sottoscrissero un accordo per la formazione di un Governo di unità nazionale che avrebbe traghettato il Paese verso le prime elezioni generali dall'indipendenza (1960). Secondo questo piano Kabila sarebbe rimasto al potere, affiancato da quattro vice-presidenti, ognuno dei quali in rappresentanza dei diversi contendenti il potere (Governo centrale, Movimento di liberazione congolese, Coalizione democratica congolese, opposizione non armata). Ciò nonostante le violenze continuarono, con una particolare recrudescenza nelle regione dell'Est. Nell'aprile 2003 Kabila firmò la nuova Costituzione che legittimò la creazione di un nuovo Governo di durata biennale. Nel mese di maggio, però, giunsero notizie di forti scontri tra milizie rivali nella zona di Bunia. Migliaia di civili abbandonarono l'area cercanto asilo in Uganda e riportando testimonianze di atrocità di vario genere che convinsero l'ONU a procedere con un più deciso intervento con le sue forze di pace internazionali. Le condizioni di sicurezza si mantennero relativamente stabili fino al dicembre 2004, quando la situazione precipitò nuovamente. Da allora continuarono a svilupparsi gravi focolai di tensione a fasi alterne. Nel febbraio 2006, intanto, fu adottata una nuova bandiera nazionale e una nuova Costituzione, approvata a stragrande maggioranza dalla popolazione con referendum tenutosi nel dicembre precedente.